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- IL SIG. GREEN PARLA DI JACQUES LACAN
- PER LA PSICHIATRIA, di Sophie Bialek
- COGNITIVISMO E PSICOANALISI, di Éric Laurent
- CRONACA CINEMATOGRAFICA, di Anne-Sophie Janus
- CRONACA DA NEW YORK, di Julia Richards
- CHRISTIAN JAMBET SULLA JIHAD, di Anaelle Lebovits
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IL SIG. GREEN PARLA DI JACQUES LACAN
Parigi, 15 nov. (ALP) Corrispondenza dell Agenzia. Sessione d apertura del Congresso SNC, il 13 novembre, consacrato agli *anni Lacan*. Il Sig. André Green si è presentato come *l opposizione di Sua Maestà*. Egli ha fatto anche sapere che si rifiutava di *scodellare la
minestra ai lacaniani*.
Questa convocazione dell oggetto orale alla fine del suo discorso è
stata conforme al suo contenuto, che è consistito in una serie di giudizi di gusto. In questo modo, il pubblico è stato informato dal Sig. Green che gli piaceva fare colazione a quattrocchi con Lacan negli anni 60, ma che, al contrario, non apprezzava il tono con cui Lacan chiedeva a Serge Leclaire di cancellare la lavagna, ecc.. Il tono generale di tale discorso può essere qualificato come atrabiliare.
Con lealtà l oratore ha riconosciuto che il suo gusto non era condiviso
e che Jacques Lacan era sempre più letto ed apprezzato nelle Società
appartenenti all Associazione psicoanalitica internazionale. Egli ha aggiunto:
*Il successo non significa nulla.* Ha trovato anche una parola per i suoi colleghi
che avevano il torto di leggere troppo Lacan: *L America latina è una
grande consumatrice di sistemi psicoanalitici. Ho visto delle società
psicoanalitiche passare da Freud alla Klein, poi a Bion, poi a Kohut, poi a
Lacan come sistema di riferimento.*
L ALP darà al Sig. Green un diritto di risposta nel caso in cui egli
desideri rettificare o completare il nostro dispaccio.
PER LA PSICHIATRIA
Parigi, 15 nov. (ALP) Sophie Bialek, membro dell ECF, ci comunica il testo
della lettera da lei inviata a *La Lettre de Psychiatrie Française*:
*Nel suo editoriale di settembre 2001, Christian Vasseur fa appello, a giusto
titolo, ad *una vera e propria riorganizzazione, in profondità, della
psichiatria e della salute mentale*. Egli si augura *di riprendere per questo
lo spirito di dibattito e di elaborazione che la psichiatria francese conobbe
nel corso della sua storia scientifica*. Le poche osservazioni che vi sottometto
oggi si iscrivono decisamente in questa prospettiva.
In effetti, mi sembra che le difficoltà incontrate da qualche tempo
a questa parte con i poteri pubblici delle quali la vostra pubblicazione si
fa regolarmente portavoce derivino, nel loro nucleo, da un punto di misconoscimento
che persiste in seno alla corrente della psichiatria istituzionale francese.
Christian Vasseur nota che *la psichiatria, fondata sin dall origine su un approccio
psicodinamico dei fenomeni mentali, si è imposta come specialità
medica autonoma che la separazione fra la neurologia e la psichiatria, nel 1968,
mise in atto. Persino la scoperta dei farmaci psicotropi nel 1952 non aveva
rimesso in causa questa evoluzione: ci fu soltanto una flessione nelle avanzate
della psicoterapia istituzionale, giusto il tempo di integrare questo nuovo
strumento*. Gli confesso semplicemente di non sottoscrivere questa concezione
e ne spiego il motivo.
In effetti, non potremmo considerare, per esempio, che il reintegro della psichiatria
in seno alla medicina scientifica sotto l egida delle neuroscienze operata negli
anni 80 (soppressione del concorso d internato degli ospedali psichiatrici,
integrazione della psichiatria nel cursus medico a titolo di specialità
come un altra) abbia segnato, al contrario, la scomparsa di questo statuto di
*specialità autonoma* conquistata nel 1968? Questo, in ogni caso, è
il mio punto di vista.
Non considero, inoltre, trascurabile quello che, a mio parere, costituisce
il contesto storico di questa riforma degli anni 80. Vale a dire la promozione
del DSM III, correlata ad una presa di potere da parte della psichiatria biologistica
a scapito della psicoanalisi. Che gli psichiatri francesi, forti della loro
tradizione clinica, della loro fedeltà ai padri fondatori della politica
di settore cioè, per molti di loro, ad un certo Jacques Lacan abbiano
potuto considerarsi un tempo (o si considerano ancora?) al riparo dalle conseguenze
di questa mutazione, a mio parere, questo deriva da un certo accecamento. Siamo
in grado di constatare appieno le conseguenze di tutto ciò. In effetti,
assistiamo, in particolare a partire dai primi anni 90, alla crescita in potenza
di una clinica unificata della depressione, correlativa di una sistematizzazione
galoppante delle prescrizioni di antidepressivi che ormai si constata in tutti
i settori d esercizio della nostra disciplina.
La Francia, prima consumatrice mondiale di farmaci psicotropi, il Prozac, terzo
farmaco maggiormente prescritto in Francia, confusione di qualsiasi specialità,
seguito da vicino dal Deroxat: è un bilancio molto triste.
I sostenitori della psicoterapia istituzionale hanno certamente *integrato*
il nuovo strumento rappresentato dai farmaci psicotropi, soltanto: in che posto?
Sino ad oggi, la cosa resta sorprendentemente velata. Da parte loro, nessun
sapere è stato mai realmente elaborato su questo argomento. Così
la psichiatria istituzionale ha abbandonato alla psichiatria biologistica la
responsabilità esclusiva di stabilire e di dettare l uso degli psicotropi
e di imporre una clinica del farmaco del quale, per il momento, lo Stato Depressivo
Acuto costituisce l inetto destino. Di conseguenza, la psichiatria istituzionale
si vota, nel campo indotto da un dinamismo farmaceutico incontrollato, a fare
ufficio solo di assistenza sociale. Ora, chi oggigiorno meglio dello psichiatra
di settore sarebbe in grado di valutare le devastazioni di una politica della
salute pubblica ormai dettata dall imperativo contemporaneo del benessere? Chi
meglio di lui potrebbe testimoniare del divenire del soggetto psicotico del
quale storicamente ha la presa in carico, nel tempo di quella che uno dei miei
colleghi chiamava a giusto titolo la psichiatria cosmetica? *Sta meglio, sorride*,
annunciava poco tempo fa uno psichiatra di settore all entourage famigliare,
perplesso, di fronte ad un paziente psicotico sotto l effetto degli antidepressivi
da otto giorni .. In che modo la psichiatria concepisce l avvenire della sua
missione? Al posto di preposto al lifting dell umore?
La psichiatria francese entrerà nel terzo millennio solo se ripristinerà
una clinica differenziale della psicosi, l unica in grado di opporsi alle attuali
derive, promuovendo un uso ragionato dei farmaci psicotropi. La realizzazione
di questa clinica differenziale presuppone, come preliminare, che vi si ricollochi,
al suo giusto posto, l affetto depressivo. Il che non sarebbe senza conseguenze
per quello che riguarda una nuova considerazione del ruolo dell ospedalizzazione
nel sistema di presa in carico. In effetti sembra che, sempre di più,
i periodi di ospedalizzazione siano ricalcati sul termine d azione degli antidepressivi.
*Mi si dice che gli si prescrive un trattamento per il quale ci vogliono tre
settimane prima che sia efficace. Perché non si attende di vedere che
cosa produce?* si chiedeva recentemente la moglie di un paziente paranoico,
riospedalizzato dopo un tentativo di suicidio perpetrato tre giorni dopo essere
uscito dall ospedale, alla fine di un trattamento antidepressivo di tre settimane!
Una testimonianza tra le altre che raccolgo quotidianamente nella mia pratica.
In mancanza di un approccio clinicamente fondato delle nostre pratiche, ivi
compreso quella psicoterapeutica, la psichiatria resterà consegnata alla
logica contabile del padrone moderno, senza nessun altra obiezione da opporvi
se non una protesta umanista che, in questo caso, avrà sempre ben poco
peso. Tutto ciò deriva in primo luogo dalla responsabilità degli
psichiatri stessi.*
COGNITIVISMO E PSICOANALISI
Parigi, 11 nov. (ALP) L idea secondo cui il soggetto umano e la sua mente siano
riducibili ad un apparecchio d adattamento al mondo è una dottrina che
presuppone molte false evidenze. Essa rende difficile da situare quello che
deriva dal rifiuto del mondo o dalla restrizione mentale. Essa implica il presupposto
che il soggetto umano, messo in presenza del proprio interesse, variante puritana
del bene, vi si adatti spontaneamente. È sufficiente che tale presupposto
si emancipi laicamente dall Eidea del male, che si dimentichino i problemi che
l *akratia* riservava ad Aristotele e che, da ultimo, si voglia render conto
*scientificamente* dei contenuti di coscienza del soggetto perché la
stupidaggine sia completa.
È ciò che ridicolizza i saggi di psicologia del terrorismo o
dello spione *dormente*, termine ammesso in inglese negli anni 50 nota William
Safire in una cronaca del 12 novembre. Il francese preferisce la metafora delle
*talpe*, di tradizione più sognante. La CIA, che condivide i presupposti
psicologici universitari del comportamentismo sotto forma cognitivista, si fida
delle macchine della verità per sondare i cuori e gli animi dei suoi
agenti. In questo modo la presenza nel suo seno di talpe di alto livello come
Aldrich Ames le è stata rivelata solo dal crollo della burocrazia russa.
Sorpresa totale! Lo smarrimento, del quale testimoniano i commenti che seguirono,
annunciava i problemi attuali.
Sfuggito alla segnalazione, nonostante la raffinata tecnica dei satelliti e
degli ascolti, il caso di Mohamed Atta e dei suoi amici pone dei problemi difficili
a questa psicologia *scientifica*. In che modo delle famiglie egiziane hanno
potuto conoscere l Occidente, i suoi costumi, i suoi modi di fare, da tre generazioni,
e poi trovare il loro posto nella società della tecnica, per alla fine
rifiutarla? Perché i loro figli, sostenuti dalla più evidente
ambizione famigliare, scelgono di segregarsi da tale società con una
tale determinazione, scegliendo la morte, come se niente fosse?
Consigliamo ad ognuno di rileggere, assieme a Freud che lo apprezzava molto,
Dostoievski, il quale seppe aggiungere al catalogo delle passioni shakespeariane
la descrizione della grande passione nichilista. I lettori dell ALP hanno già
letto la lettera di Jacques-Alain Miller del 19 settembre 2001, intitolata *La
tenerezza dei terroristi*. Si deve senza alcun dubbio distinguere il suicidio
nichilista dal suicidio mistico di colui che si annienta nella credenza in paradisi
inebrianti. Resta comunque il fatto che la riserva mentale di colui che vi si
prepara con efficacia è un oggetto degno di essere studiato. Come non
considerare, con Freud e con Lacan, che la verità del soggetto si manifesta
in primo luogo nella menzogna? La disciplina psicoanalitica non si iscrive dopo
la confessione, come per certo momento l ha creduto Michel Foucault. Se la si
vuole mettere in relazione con un dispositivo religioso di origine cattolica,
è meglio iscriverla nel posto riservato alla *restrizione mentale caratteristica
dell umanesimo cristiano e della quale si è tanto rimproverato a quegli
ammirevoli moralisti dei Gesuiti di averne codificato l uso* (Lacan).
Che ci insegna, dunque, l approccio cognitivo della menzogna e come ci orienta
nel mistero del *prossimo*? Daniel Dennett, eminente professore di *cognitive
studies*, questa settimana si trova a Parigi per presentare le *Conferenze Jean
Nicod*. È l occasione per ascoltarlo, ricordandoci quello che egli scriveva
dieci anni fa nel suo libro *La coscienza spiegata*, molto ben tradotto da Pascal
Engel: *Il mio ottimismo beat mi spinge a supporre che le risposte che noi dovremmo
fornire, sul piano ontologico, non pongano il benché minimo problema
filosofico profondo: la finzione è la finzione, non c è nessuno
Sherlock Holmes.* Nei tempi difficili che sono i nostri, nei quali l ottimismo
beat forse non è più opportuno, potrebbe darsi che sia la coscienza
a non porre più alcun problema profondo e che le finzioni chiamate Ames,
Atta o Romand (cfr. il film *L impiego del tempo*, che è appena uscito)
ci spingano a porci delle questioni vitali circa la credenza nell Altro con
la quale il soggetto si sostiene nel suo mondo.
CRONACA CINEMATOGRAFICA
Parigi, 21 otto. (ALP) Visto nulla ad Hiroshima? *H-Story* di Nobuhiro Suwa.
Ai nostri giorni, una troupe cinematografica diretta da un regista giapponese
(Nobuhiro Suwa, nel suo ruolo) lavora invano alla realizzazione di un remake
di *Hiroshima mon Amour*. Le riprese finiscono prematuramente e tale progetto
non si realizzerà. Da questa incapacità di dire e di mostrare
Hiroshima città natale del regista nasce *H-Story*, *work in progress*
innalzato sulle rovine di un film mai terminato. *H-Story* si articola in due
tempi, la *realizzazione* delle riprese interrotte e l esito salvifico.
La prima parte di *H-Story* è una sorta di pre-montaggio rudimentale
che giustappone gli impeti del remake. Lunghe sequenze si succedono, limitate
da esche mute, variazioni di luce e di messa a punto, scoppi e annunci. Questi
blocchi unità d azione, di luogo e di tempo si snodano impassibilmente
e, talvolta, sono introdotti da fotografie in bianco e nero tratte dal film
di Alain Resnais. Béatrice (Béatrice Dalle) ha il ruolo di Emmanuelle
Riva. Impegnata in un pericoloso corpo a corpo con il suo testo (il testo originale
di Marguerite Duras), ella moltiplica confusioni e vuoti di memoria. Come lei
stessa confessa, non sa più quello che dice. A furia di ripetizioni,
ella diventa sorda alle parole del testo, insensibile al loro senso. Già
isolata linguisticamente, ella minaccia di diventare straniera di fronte alla
sua stessa lingua.
A metà percorso, *H-Story* vacilla. Una sequenza cerniera pone direttamente
la questione dell oblio e toglie il film da un impasse certa. Al termine di
una lunga notte di riprese, Béatrice è sprofondata, sia fisicamente
che moralmente; ella non sa più dire la prima replica del suo testo:
*È orribile, comincio a non ricordarmi più di te.*
*Hiroshima mon Amour* è dunque dimenticato, il peso del ricordo di questo
film è evacuato. Un vero e proprio dialogo con la città può
così cominciare. Béatrice, che di solito non lascia mai il suo
albergo, si avventura nelle vie. Sino ad ora la telecamera filmava solo con
dei piani molto ravvicinati, estraendo i visi e i corpi dal loro ambiente. Ora
indietreggia e ci mostra la ragazza, riconciliata con se stessa, che scopre
e vive Hiroshima.
*H-Story* , film ibrido e sperimentale, si realizza nella forza motrice dell
oblio.
Parigi, 5 nov. (ALP) D Acqua e di Fuoco: *The Deep End*, di David Siegel e
Scott McGehee.
Margaret deplora le cattive compagnie del figlio. Ella spera di sottrarlo al
fascino nefasto di Reese, amante dell adolescente e proprietario abbietto di
un night club. Il film inizia con il confronto fra la madre e il seduttore.
Condotta nell anticamera del Deep End, Margaret aspetta di incontrare Reese.
Una porta si apre, la luce del giorno vi penetra. Sovraesposta ed accecata,
Margaret porta la sua mano agli occhi. Questo avvampare dell immagine dà
fuoco alla miccia narrativa e scatena una reazione a catena di un ora e quaranta
minuti.
Madre di famiglia pacata e devota, sconvolta da avvenimenti dei quali non conosce
la portata, Margaret si mette in moto. Sprofonda nelle acque torbide del crimine
e rischia di rompersi su numerosi frangenti per proteggere il figlio. Attizzata
dall amore materno, si riscopre una tempra d acciaio. Malmenata da potenti correnti,
ella riesce a rimbalzare su tutti gli episodi drammatici, a scivolare su tutti
gli incidenti, sino all epilogo.
Uno sguardo metallico di una freddezza e di una durezza corrosive; delle pupille
blu ghiaccio, braciere ardente da dove sorge una determinazione cieca; un viso
dal pallore spettrale che mette in risalto una chioma rossa fuoco: in Margaret
i contrari si fondono. Limpida e opaca, riflettente e dinamica, ella è
di acqua e di fuoco. Oscilla tra la madre asessuata dall aria scura e la seduttrice
fatale tutta di rosso vestita.
L Acqua è un elemento predominante: il film di Siegel e McGehee è
ambientato vicino al lago Tahoe. Filmato sul far del giorno, la sua superficie
risplende liscia e fredda. Filmato di notte, i riflessi azzurrognoli delle sue
acque ondulano sui corpi e sui visi. Simbolo della simbiosi tra uomo e natura,
esso offre alle spoglie di Reese una magnifica sepoltura acquatica: rocce perfettamente
levigate dall erosione emergono dalle profondità come delle pietre tombali
appoggiate le une sulle altre. Anche il Fuoco è presente. In particolare,
si tratta della comparsa del sole oltre le montagne e dell avvampare improvviso
del paesaggio, della distesa d acqua e di Margaret. È il fuoco dell azione
che anima il racconto e i suoi personaggi, sino alla sua autoconsunzione, alla
sua risoluzione.
Qualche lacrima impossibile da trattenere e una scintilla d amore dolorosamente
soffocata. Così si chiude questa parentesi, episodio della vita di una
donna disperatamente isolata dentro una famiglia indifferente composta da un
marito assente, un figlio che non vuole sapere, un suocero che finge di non
comprendere.
CRONACA DA NEW YORK
Parigi, 28 ott. (ALP) In viaggio nel nordest degli Stati Uniti nella seconda
settimana del mese di ottobre, per motivi personali, sono stata impressionata
dagli effetti dell 11 settembre sul popolo americano.
All aeroporto di Roissy-Charles de Gaulle, l 11 settembre, nell atteso momento
dell annuncio d imbarco del mio volo per Washington, Dallas, sono al telefono.
Mentre ascolto il mio interlocutore, con un orecchio sento l altoparlante. L
annuncio, in francese, non ha nulla di abituale. Sono sicura di aver mal compreso:
*Il governo americano ha sospeso tutti i voli in direzione degli Stati Uniti*.
Attendo la traduzione in lingua inglese. È ancora peggio. Sono certa
di aver ben compreso, ma è inassimilabile. Al bancone daranno delle informazioni.
I passeggeri si spingono verso il personale. Le reazioni sono diverse: *Era
una bomba nucleare?*, domanda placidamente una signora, *Pensate che potremo
decollare fra due ore?*, chiede un uomo. Quello che io mi permetto è:
*Ma lei scherza, signore!* Faccio ristampare il mio biglietto e, angosciata,
lascio l aeroporto più in fretta possibile per andare da coloro che amo.
Roissy-Charles De Gaulle, 15 ottobre: gli stessi agenti agli stessi posti fanno
lo stesso lavoro; questo ha qualcosa di rassicurante. Arrivata a Dallas, sono
attenta ai cambiamenti prodotti da questo incontro con il reale. Ne esiste già
uno, personale: ho accettato l offerta di un membro della mia famiglia di fare
un giro di tre ore in macchina per venirmi a prendere, evitando così
di prendere un volo interno.
*I pledge allegiance to the flag*
Ovunque penzola, si agita, si dimena la bandiera americana. È più
che mai presente: grande sugli immobili, di misura variabile sulle case e alle
finestre degli appartamenti, come stendardo agitato sulle antenne delle automobili,
discretamente sui baveri, stampata sulle magliette e sui berretti. Viene venduta
nei chioschi da americani di ogni etnia, a tutti gli angoli delle strade di
Manhattan, di Mid-Town sino al Ground Zero. Queste bandiere hanno qualcosa di
triste e di fiero: delle bandiere come dei cerotti, uno per ogni americano ferito.
*of the United States of America*
Nelle vie di Manhattan-la-feroce, città opprimente e inumana, le persone
sono di una cortesia, di una fiducia inusuale e spontanea, segni dell autenticità.
I poliziotti della città sono pazienti con le folle che affluiscono attorno
al sito. Le donne camminano nelle strade senza aggrapparsi alla loro borsa.
Le persone lasciano passare, non spingono più. Sembrano legati, uniti
da un dolore condiviso.
*and to the country for which it stands*
Un paese, *country*, non è obbligatoriamente dotato dell attributo di
*entità politica*, presente nell accettazione francese (post-rivoluzionaria)
di una nazione; l uno è una terra, determinata dalla sua geografia, dal
suo popolo, l altro dipende dalle leggi che lo costituiscono. Per gli americani
l 11 settembre non aveva nulla di un atto simbolico (che l attacco contro il
Pentagono sarebbe bastato a costituire). Gli americani soffrono di una ferita
fatta al loro paese.
Questi americani parlano dell 11 settembre? Senza dubbio, si teorizza alla
radio, alla televisione, quasi senza tregua. Ma le persone, consegnano il loro
11 settembre? Sì, ma con lo stesso pudore, lo stesso riserbo di colui
che è condotto a parlare della malattia grave di un parente con uno sconosciuto.
Lo si fa a denti stretti, in quanto questo reale è intimo: un argomento
da trattare con delicatezza. Il giornalista che ha chiamato le Torri *i polmoni
dell America* mi sembra più vicino alla realtà del popolo americano,
ma io preferisco di più *le mammelle dell America*. Fonte della loro
spensieratezza, del loro ottimismo, del paradosso della loro generosità
e del loro egoismo, il mercato della borsa, Mother Wall Street, era colpito
e, con essa, i suoi figli.
*one nation,*
Al Ground Zero ci sono cinque piani di detriti che assomigliano ad un enorme
scultura compressa di Arman. Ma, al di sopra, c è un buco nel cielo.
Questo buco ha proprio un valore simbolico per il paese. È quello dell
oggetto. Tuttavia, mentre gli storici dibattono ancora per determinare se gli
Stati Uniti siano o meno una nazione, se la nozione stessa di nazione conservi
la sua pertinenza funzionale di fronte alla mondializzazione, l America saprà
cogliere questo buco per simbolizzare la sua nazione?
*under God, indivisible,*
Le cose non si stanno sistemando. Le invocazioni a quel dio, supposto benedire
l America, sono pure molto presenti. Quale sarà l ampiezza degli effetti
in un paese, l unico a mia conoscenza, che arriva persino a stampare *Noi facciamo
credito a Dio* sulle sue banconote, che fa cantare *God bless America* alla
riapertura della borsa? Mi verrebbe da dire che questo paese non ha mai simbolizzato
il suo rapporto con il denaro. Franklin Delano Roosevelt chiedeva la creazione
dei diritti dell uomo economici nel 1937. Non si è (ancora) dato seguito
a tale proposta. Forse sarebbe un modo per annodare questo paese in una nazione:
la legge al posto dei capricci economici.
Per il momento e per questi motivi, agli occhi di un Bin Laden, gli Stati Uniti
occupano il posto provocante del piccolo appeso al seno di cui parla Sant Agostino.
Attraverso le vie del terrorismo, Bin Laden non è forse riuscito a porre
i termini necessari ad una guerra *santa* - leggiamo *folle* - contro il fratello
di latte, nella quale ognuno è interpellato da un altro piccolo *terrorista*,
la guerra di Allah vs dallah (*dollar* pronunciato con l accento di New York)
condotta da e contro dei popoli sprovvisti della politica delle nazioni, nel
momento in cui la nozione di nazione è rimessa in questione dagli effetti
della mondializzazione?
*with liberty and justice for all.*
In taxi vedo il flusso dei pedoni di mezzogiorno che risale verso la Mid-Town.
Lo sguardo di ogni passante si posa, chiosco dopo chiosco, su queste bandiere.
A che cosa pensano? Che ne so? Per quanto mi riguarda, proprio al giuramento
di obbedienza, ripetuto giorno dopo giorno, durante tutta la mia infanzia.
CHRISTIAN JAMBET SULLA JIHAD
Parigi, il 15 nov. (ALP) Christian Jambet, professore di filosofia al Liceo
J. Ferry e professore incaricato in scienze religiose all EPHE, il 18 ottobre
ha tenuto una conferenza su *L Islam e la Jihad*. Ecco un compendio delle tesi
sviluppate dal conferenziere, redatto da Anaelle Lebovits. L ALP è l
unica responsabile degli eventuali errori che potrebbero essere presenti in
questo dispaccio.
Il Corano prescrive la Jihad così come Bin Laden l ha intrapresa? Prima
di rispondere a questa questione dobbiamo volgerci al Libro stesso.
Il Corano, in effetti, ha un valore di riferimento per tutti i musulmani. Tuttavia,
tale libro riconosce tutti i libri rivelati come la fonte del vero. Evidentemente,
i musulmani non accettano la Bibbia così come è redatta e letta
dagli ebrei e dai cristiani, sospettati di aver falsificato i Libri che sono
stati loro rivelati. Resta comunque il fatto che Mosé è il profeta
più citato del Corano, vale a dire che ogni buon musulmano deve tenere
a mente che gli ebrei e i cristiani sono dotati di una religione rivelata.
Per i musulmani, la Rivelazione ha così una storia che comincia con
Adamo e finisce con Mohamad. Tale storia è orientata e conduce ad un
termine (Sura 42, versetto 51), il che spiega il rapporto permanente dell Islam
con i Libri anteriori, mentre il testo coranico diventa il punto di partenza
e di arrivo di tale storia.
D altronde, il Corano è manifestazione della parola divina, quella del
Dio Nascosto. Riguardo a Dio, i musulmani possono affermare solo una cosa: *Non
c è altra divinità se non Dio* (S. 112, v. 1), in altri termini,
Dio è uno.
Come libro il Corano, dunque, ha una lettera ma, essendo l espressione della
parola infinita di Dio, esso ha soprattutto un senso nascosto che corrisponde
alla realtà sovrasensibile del suo enunciatore. Esso, dunque, fa appello
all ermeneutica. A questo riguardo dobbiamo osservare che non esiste ortodossia
musulmana. L unico punto sul quale tutti i musulmani si accordano di diritto
è il fatto che nessuna lettura può essere neutrale. Questo principio
fondamentale per tutte le religioni dette del Libro viene dunque rifiutata e
negata dagli integralisti Sanniti Wahhabiti, dei quali Bin Laden s è
fatto il cavaliere. Rifiutando qualsiasi principio esegetico, essi rifiutano
qualsiasi lettura coranica. In questo modo, essi fissano il testo in una *lettera*
che non si può più decifrare, ma che vale come legge universale.
La Scuola Wahhabita l abbiamo visto predica la rarefazione del discorso e sospende
il diritto all intelligenza. Ma l appello alla Jihad è, oppure no, un
appello all odio e alla distruzione dell Altro?
Secondo la lettera, non esiste nessun comandamento che indichi in modo ovvio
ciò che della Jihad è obbligatorio e ciò che non lo è.
La Sura 42 (v. 36-39), tuttavia, enuncia i principali comandamenti (che permettono
ai credenti l accesso al Paradiso), fra i quali non si trova l appello alla
Jihad.
Questo, però, è presente a titolo di obbligo legale (S. 9, v.
29) e si enuncia in questi termini: *Combattete coloro che non credono in Dio
sino all ultimo giorno.* Ma in che senso deve essere intesa tale esortazione?
La radice del termine Jihad significa *sforzarsi contro, impegnarsi a*. Il Corano,
d altronde, enuncia questo: *Colui che si sarà sforzato l avrà
fatto solo per se stesso.* Così possiamo comprendere che questa lotta
designa effettivamente una lotta contro la miscredenza che permette di strapparsi
all irrealtà che minaccia tutti. La Jihad, quindi, può essere
intesa come *lotta* contro di sé; di conseguenza, la lotta storica diventa
meno importante rispetto allo sforzo per perseverare nel proprio essere-musulmano
prescritto dal Corano. D altro canto, è solo nella misura in cui viene
condotta *la lotta* contro se stessi e mai completamente vinta che la lotta
contro l altro è giustificata.
Presso gli Wahhabiti, tale senso morale della Jihad è scomparso, ha
mantenuto solo il senso bellicoso. Tale obbedienza alla lettera è insufficiente
per gli Sciiti mentre per i Sunniti essa costituisce il grado più basso
della fede, in quanto il grado più alto di quest ultima equivale alla
realtà effettiva.
D altro canto, la Jihad indipendentemente dal modo in cui viene intesa presuppone
la presenza di un maestro designato dall autorità legittima, vale a dire
dal successore dell ultimo profeta. Per gli Sciiti diodecimani, la Jihad non
avrebbe più corso in quanto non hanno più nessun Iman e, per quanto
riguarda i Sanniti, vale la stessa cosa poiché non c è più
nessun Califfo. L unica autorità legittima che oggi potrebbe fare appello
alla Jihad bellicosa è l Agha khan, il capo spirituale degli Ismailiti;
egli, però, ha rinunciato alla Charria. Così, dal XIII secolo,
la Jihad è stata sospesa e le guerre musulmane sono guerre tra popoli
che non possono vantarsi del titolo di Jihad. È quindi evidente che gli
Wahhabiti e Bin Laden si arrogano un diritto che non hanno. L uso del termine
Jihad, staccato da qualsiasi riferimento all autorità legittima, presuppone
in essi questa tesi: qualsiasi musulmano si autorizza solo da sé, deve
essere mujahid, un attore della Jihad. Ma egli si autorizza da sé perché
sé non è nulla se non Dio. In definitiva, egli si autorizza solo
da Dio.
PSICOANALISI ATTUALE
Parigi, 2 nov. (ALP) Seminario di Jean-Jacques Moscovitz, il secondo mercoledì
del mese, Sala delle Biblioteche, 4, piazza Saint-Germain, 75006 Parigi, *Femminile
maschile. Violenze Specchio Filiazioni Storia*: si tratterà degli attuali
avvicinamenti al sessuale in senso psicoanalitico, attraverso dei testi di Freud,
Lacan, dei testi e delle parole di alcuni di noi e di qualche altro. Co-discutants:
Nabile Fares, Michele Dolin, Tierry Perles.
Traduzione di Adele Succetti |